Caro on. Gennaro Migliore, ogni governo ha i suoi simboli, chi l’avrebbe detto che pure lei lo sarebbe diventato? Sia pure del (vecchio) trasformismo del (nuovo) renzismo. Per la verità, il salto sul carro del vincitore ha assunto con Renzi dimensioni tali da meritarsi di diventare specialità olimpica, ma – suvvia, non faccia il modesto – lei è da podio: il Migliore, appunto.
Devono essere stati durissimi i 5 anni in cui, insieme a Rifondazione comunista, è rimasto fuori dal Parlamento. Neanche una fatica letteraria – dal titolo profetico È facile smettere di perdere se sai come farlo, sottotitolo Idee di sinistra per la nostra sinistra. Subito – è riuscita ad alleviare il malessere. Ma almeno dimostra che lei sapeva davvero come ‘smettere di perdere’: semplicemente passando con chi vince. Facile. Con buona pace della sinistra. Di fronte all’annuncio della fiducia sull’Italicum, i suoi ex compagni di Sel hanno lanciato crisantemi dagli scranni della Camera in nome del ‘funerale della democrazia’.
Lei invece aveva preferito le rose quando, ancora con loro, si era scagliato contro la legge elettorale: “Quella che noi chiamiamo rosa, anche chiamata con un altro nome, avrebbe sempre lo stesso dolce profumo” – aveva detto citando Romeo e Giulietta – “ma quello che voi chiamate Italicum, anche con un altro nome, ha sempre il, non dolce, ma pesante olezzo di quello che chiamammo Porcellum. Le leggi si giudicano dall’odore“.
Poi però, nella più classica delle tradizioni italiane, si è tappato il naso: passato col Pd, è diventato relatore di quella stessa mefitica legge. “Siamo di fronte a un’occasione storica” – ha dichiarato inebriato dal nuovo profumo della poltrona – “quella di approvare una buona legge elettorale“. Un entusiasmo degno, come minimo, di una visita otorinolaringoiatrica.
Ora non me ne voglia, ma sebbene la sua inversione a U riguardi non solo la forma, ma anche i contenuti, e per questo – lo ripeto – valga il podio, non merita tuttavia un’intera lettera. Dopo le sue 15 righe di gloria, il finale deve essere per il vero vincitore: Renzi. Penso al sottile, cinico, sprezzante piacere del suo premier nel vederla smentire se stesso e la sua storia.
E chissà se il boyscout Dc penserà anche, godendo: “L’antagonista barricadero ora mi porta l’acqua con le orecchie”, “Altro che Marx, io ho capitalizzato la sinistra“. Soprattutto: chissà se dopo averle dato la sòla alle regionali in Campania e averle fatto aspirare a pieni polmoni, da relatore, l’Italicum (un po’ come se avesse nominato Berlusconi agente di scorta della Boccassini), poi la metterà nella rosa delle candidature nel Pd alle prossime elezioni.
Oppure se, per noia del gioco, in un rigurgito di senso di dignità della politica (ma questo è più difficile, conoscendo il tipo), o per banale mancanza di fiducia, le offrirà solo un crisantemo per il suo trapasso politico. Caro Migliore, credo che a questo punto nel suo bouquet non restino che le margherite: il profumo è quello che è, ma tanto ormai il suo olfatto è compromesso. Può però sfogliarle, e chiedersi: m’ama o non m’ama?
Il Fatto Quotidiano, 30 Aprile 2015
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