Caro Ermete Realacci, ambientalista prima che politico, nel 2012 protestava contro il governo Monti: “Il via libera alle trivellazioni facili è una vera follia”. Nel 2013 diventa presidente della commissione Ambiente della Camera e Legambiente tira un sospiro di sollievo: “Ermete con le sue competenze e la grande esperienza acquisita in tanti anni di importanti battaglie ambientali condotte alla guida di Legambiente è la miglior garanzia perché questo Parlamento sappia raccogliere le tante nuove sensibilità ambientali…”.
Ma nel 2014 quella “garanzia” somiglia alle obbligazioni di Banca Etruria: arrivano Renzi e lo Sblocca Italia, che Legambiente definisce “antiambientale, vecchio, pericoloso, all’opposto del sostegno a un’economia low carbon”. Civati, per dire, vota no, ma lei – ambientalista prima che politico – sì.
Nove Regioni (sette a guida Pd) presentano referendum sulle trivelle, il governo corre ai ripari con modifiche ma prolunga le concessioni esistenti fino a esaurimento dei giacimenti, ciò su cui la Consulta ammette il quesito del 17 aprile. E pure lei corre ai ripari, in fondo è stato alla Conferenza sul clima di Parigi, in cui si è firmato l’accordo per limitare il riscaldamento globale, riducendo le emissioni e ponendo fine all’era dei carburanti fossili (petrolio, gas, carbone). Così a gennaio – ambientalista prima che politico – dice chiaro all’Unità: “Nel mondo c’è una domanda di Italia, ma di un’Italia che scommette su innovazione, qualità, bellezza. Non che si presenta come surrogato di un piccolo emirato petrolifero (…). Non ha senso cercare risorse nei nostri mari col prezzo del petrolio così basso”, e sul rischio occupazionale: “Centomila posti di lavoro legati alle trivellazioni in Italia è pura fantasia”, “cifre ridicole”, “il governo eliminerà le ragioni del referendum”. Ma Renzi tira dritto e il Pd sceglie l’astensione (niente quorum equivale al No).
Le tocca ri-correre ai ripari. Se la Serracchiani impiega quattro anni a fare inversione a U (dal No Trivella Day 2012, al non voto di oggi per un “referendum inutile” e costoso), a lei – ambientalista prima che politico – basta un mese. A febbraio a non avere più senso, non è “cercare risorse nei nostri mari”, ma la consultazione: “Con le modifiche è ormai indebolita e perfino discutibile”, il quesito rimasto “riguarda pozzi in produzione da tempo” e a “fermarli si avrebbero ricadute economiche e occupazionali”, inoltre sono “essenzialmente pozzi di gas, che fa correre molti pochi rischi di inquinamento”.
Oltre a se stesso, smentisce – da presidente onorario – anche Legambiente, che sostiene il Sì, lancia allarmi sui pericoli per ambiente e salute delle trivellazioni e spiega che, con rinnovabili come il biometano, si può produrre quattro volte il gas estratto dalle piattaforme e quadruplicare pure gli occupati, rispetto ai tremila dei pozzi (che comunque non sarebbero licenziati, resterebbero fino a scadenza delle concessioni).
Allora, caro Realacci, viene davvero prima l’ambientalista o il politico? La sua Legambiente e il Sì “per dire stop trivelle” o il suo Renzi e l’astensione (cioè No)? Ci pensi: in politica, chi è molto rinnovabile è poco sostenibile.
Un cordiale saluto.
PS: il 17 aprile io voto Sì.
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